Quando può essere utilizzata l'indicazione “senza lattosio” e “a ridotto contenuto di lattosio”?

Negli ultimi anni si sta evidenziando un notevole aumento di persone affette da “intolleranza al lattosio”, un disturbo alimentare generato dalla mancata produzione dell'enzima lattasi - deputato alla scissione del lattosio in glucosio e galattosio - necessario per la digestione dello zucchero del latte.

I soggetti affetti da grave intolleranza a questo zucchero tipico del latte sono obbligati al consumo esclusivo di alimenti delattosati. Non tutti però sono intolleranti allo stesso modo. A seconda della quantità di lattasi prodotta vi sono, infatti, persone che reagiscono in modo diverso da altre all'assunzione di questo zucchero.

Il lattosio è presente in concentrazioni variabili in tutti gli alimenti che derivano dal latte o che lo contengono come ingrediente.

Per far fronte a queste particolari esigenze nutrizionali l’industria alimentare ha sviluppato moderne tecnologie (delattosazione), in grado di fornire prodotti che possono essere consumati tranquillamente da chi soffre di intolleranza al lattosio.

Sul mercato si trova una vasta gamma di alimenti delattosati, commercializzati con diverse denominazioni quali: “formaggio delattosato”, “formaggio a ridotto contenuto di lattosio”, “formaggio a basso contenuto di lattosio”, “formaggio senza lattosio”. In questi prodotti viene però dichiarata un soglia di lattosio diversa che varia dal <0,01% al <0,05%, fino ad arrivare al <0,1%.

L'enorme difficoltà nell'individuare precisi limiti volti a delimitare quando un alimento si possa definire senza lattosio, si accompagna ad un'estrema disorganicità delle norme che regolano la materia.

Gli avvocati Roberto Sammarchi e Elena Nanni in collaborazione con il Dott. Paolo Rocchi e la Dott.ssa Carla Lucera provano a dirimere la questione.