Si segnala la sentenza della Seconda Sezione della Corte di Giustizia UE, 13 luglio 2017 causa C-129/16, con la quale viene affermato che le disposizioni della direttiva
2004/35/CE, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, devono essere interpretate nel senso che, sempre che la controversia di cui al procedimento principale rientri nel campo di applicazione della direttiva 2004/35, esse non ostano a una normativa nazionale che identifica, oltre agli utilizzatori dei fondi su cui è stato generato l’inquinamento illecito, un’altra categoria di persone solidamente responsabili di un tale danno ambientale, ossia i proprietari di detti fondi, senza che occorra accertare l’esistenza di un nesso di causalità tra la condotta dei proprietari e il danno constatato.
Più specificamente per i Giudici l’articolo 16 della direttiva deve essere interpretato nel senso che, non osta a una normativa nazionale ai sensi della quale non solo i proprietari di fondi sui quali è stato generato un inquinamento illecito rispondono in solido, con gli utilizzatori di tali fondi, di tale danno ambientale, ma nei loro confronti può anche essere inflitta un’ammenda dall’autorità nazionale competente, purché una normativa siffatta sia idonea a contribuire alla realizzazione dell’obiettivo di protezione rafforzata e le modalità di determinazione dell’ammenda non eccedano la misura necessaria per raggiungere tale obiettivo, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare.
In altre parole la giurisprudenza comunitaria ammette che possa esistere una norma nazionale che preveda una protezione rafforzata più stringente rispetto a quella comunitaria.
Sentenza Ue su danno ambientale e protezione rafforzata
17 luglio2017
di: Roberto Rizzati
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