Due recenti sentenze della Suprema Corte del 23 e 30 gennaio (sentenza del 30 gennaio 2017, n. 4201 e sentenza del 23 gennaio 2017 n. 3351) sono ritornate sul tema dell’abnormità del comportamento del terzo (infortunato o altro soggetto), invocata a propria discolpa dagli imputati di lesioni o omicidi colposi commessi con violazione delle norme antinfortunistiche.
Le due decisioni ribadiscono l’orientamento interpretativo più rigoroso: nel campo della sicurezza del lavoro gli obblighi di vigilanza che gravano sul datore di lavoro sono funzionali anche rispetto alla possibilità che il lavoratore si dimostri imprudente o negligente verso la propria incolumità.
È allora lecito interrogarsi su quale sia l’utilità dei doveri formativi ed informativi se poi, al cospetto della violazione degli insegnamenti, se ne deve comunque rispondere.
La rigidità di questa interpretazione cela il pericolo di trasformare la responsabilità penale in materia antiinfortunistica in una vera e propria forma di responsabilità oggettiva, abiurata nel nostro ordinamento fin dall’emanazione della Costituzione Repubblicana.