di: Vincenzo Morena
La società è tenuta al risarcimento del danno per le immissioni non tollerabili anche se la quantità emessa non supera i limiti stabiliti dalla legge. Lo afferma la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 26715, depositata il giorno 24/11/2020.
La vicenda si incardina sulla decisone di primo grado e di appello, che aveva condannato un opificio a risarcire il proprietario del fondo confinante a causa delle intollerabili propagazioni di polveri provenienti dallo stabilimento.
Secondo i Giudici del merito, il fatto che l’azienda ricorrente avesse rispettato i limiti i accettabilità delle immissioni come stabilito dalla legge e dai regolamenti non assumeva rilevanza. In materia di immissioni, infatti, «l'eventuale rispetto dei limiti legali non può far considerare senz'altro lecite le propagazioni provenienti dal fondo del vicino, dovendo il giudizio sulla loro tollerabilità formularsi secondo l'apprezzamento del giudice, tenuto conto di tutte le peculiarità del caso concreto, quali la vicinanza dei luoghi e i possibili effetti dannosi per la salute».
La “non tollerabilità” fa scattare il diritto al risarcimento del danno senza che rilevi se l'illecito sia anche penalmente rilevante, dunque.
Tesi, questa, “sposata” dagli Ermellini, i quali hanno dapprima ricordato che: «i parametri fissati dalle norme speciali a tutela dell'ambiente, pur potendo essere considerati come criteri minimali di partenza, al fine di stabilire l'intollerabilità delle emissioni che li eccedano, non sono necessariamente vincolanti per il giudice civile che, nello stabilire la tollerabilità o meno dei relativi effetti nell'ambito privatistico, può anche discostarsene, pervenendo al giudizio di intollerabilità delle emissioni, ancorché contenute in quei limiti, sulla scorta di un prudente apprezzamento che consideri la particolarità della situazione concreta e dei criteri fissati dalla norma civilistica», per poi ribadire che: «il superamento delle immissioni tollerabili è il fatto generatore del danno senza che rilevi in alcun modo se l'illecito sia anche penalmente rilevante o costituisca solo un comportamento antigiuridico sul piano civilistico».
La vicenda si incardina sulla decisone di primo grado e di appello, che aveva condannato un opificio a risarcire il proprietario del fondo confinante a causa delle intollerabili propagazioni di polveri provenienti dallo stabilimento.
Secondo i Giudici del merito, il fatto che l’azienda ricorrente avesse rispettato i limiti i accettabilità delle immissioni come stabilito dalla legge e dai regolamenti non assumeva rilevanza. In materia di immissioni, infatti, «l'eventuale rispetto dei limiti legali non può far considerare senz'altro lecite le propagazioni provenienti dal fondo del vicino, dovendo il giudizio sulla loro tollerabilità formularsi secondo l'apprezzamento del giudice, tenuto conto di tutte le peculiarità del caso concreto, quali la vicinanza dei luoghi e i possibili effetti dannosi per la salute».
La “non tollerabilità” fa scattare il diritto al risarcimento del danno senza che rilevi se l'illecito sia anche penalmente rilevante, dunque.
Tesi, questa, “sposata” dagli Ermellini, i quali hanno dapprima ricordato che: «i parametri fissati dalle norme speciali a tutela dell'ambiente, pur potendo essere considerati come criteri minimali di partenza, al fine di stabilire l'intollerabilità delle emissioni che li eccedano, non sono necessariamente vincolanti per il giudice civile che, nello stabilire la tollerabilità o meno dei relativi effetti nell'ambito privatistico, può anche discostarsene, pervenendo al giudizio di intollerabilità delle emissioni, ancorché contenute in quei limiti, sulla scorta di un prudente apprezzamento che consideri la particolarità della situazione concreta e dei criteri fissati dalla norma civilistica», per poi ribadire che: «il superamento delle immissioni tollerabili è il fatto generatore del danno senza che rilevi in alcun modo se l'illecito sia anche penalmente rilevante o costituisca solo un comportamento antigiuridico sul piano civilistico».