L’indicazione di origine degli alimenti e il caso del grano duro.
Brevi note alla più recente giurisprudenza amministrativa italiana

L’indicazione di origine degli alimenti e il caso del grano duro. Brevi note alla più recente giurisprudenza amministrativa italiana

di: Avvocato Valeria Pullini

In Italia, come noto, vige una serie di decreti interministeriali (DIM) in tema di indicazione obbligatoria di origine di alcuni alimenti, affetti da notevoli problematiche di legittimità sia in rapporto al diritto dell’Ue in materia di origine degli alimenti, sia a fronte della sentenza “Lactalis” della Corte di Giustizia dell’Ue del 2020.

In particolare, alla luce della sentenza è possibile affermare che, in sede nazionale italiana, l’obbligo dell’indicazione di origine per determinati alimenti e/o ingredienti di alimenti, di cui ai suddetti decreti, sia stato introdotto senza che venisse rispettato almeno uno dei presupposti di cui all’art. 39 del Reg. (UE) n. 1169/2011, il quale prevede che:
1) esista un nesso comprovato tra talune qualità dell’alimento e la sua origine o provenienza e che
2) tali Stati forniscano elementi a prova del fatto che la maggior parte dei consumatori attribuisca un valore significativo alla fornitura di tali informazioni.

Tali decreti interministeriali avrebbero dovuto cessare di efficacia il 31 marzo 2020, ossia il giorno antecedente la data di entrata in applicazione del regolamento di esecuzione (UE) n. 775/2018, ciò, però, non è avvenuto, essendo essi oggetto di continue proroghe d’efficacia disposte annualmente.

Ad esito di due recenti procedimenti amministrativi riguardanti specificamente l’indicazione di origine del grano duro (Sentenza del TAR per il Lazio (Roma) n. 1291  del 25 gennaio 2023  e Sentenza del TAR per il Lazio (Roma) n. 2453 del 13 febbraio 2023), l’efficacia e l’applicabilità del relativo decreto sembra sia stata confermata con particolare forza.