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InformARS Food -  Il monitoraggio degli PFAS negli alimenti: criticità e Linee Guida

Gentili lettori,

Le sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) sono state, ed alcune di esse lo sono tuttora, ampiamente utilizzate in campo industriale. Il loro uso diffuso e la loro persistenza nell’ambiente hanno determinato un’ampia contaminazione ambientale. La contaminazione degli alimenti con queste sostanze è dovuta principalmente al bioaccumulo nelle catene alimentari acquatiche e terrestri e all’uso di materiali a contatto con gli alimenti contenenti PFAS. L’acido perfluoroottansulfonico (PFOS) e l’acido perfluoroottanoico (PFOA) e i loro sali sono le PFAS presenti nelle concentrazioni più elevate negli alimenti e negli esseri umani.
Nel 2020, su richiesta della Commissione, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare ha aggiornato la sua valutazione dei rischi di PFOS e PFOA, estendendola all’acido perfluorononanoico (PFNA) e all’acido perfluoroesansulfonico (PFHxS).
Con due recenti provvedimenti (Regolamento di esecuzione (UE) 2022/1428 e la Raccomandazione (UE) 2022/1431, pubblicati sulla Gazzetta L221 del 26 agosto) l'Esecutivo di Bruxelles ha fornito le ultime indicazioni e prescrizioni in materia di controllo e monitoraggio delle sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) negli alimenti. La raccomandazione UE n. 2022/1431 contiene indicazioni per il monitoraggio delle sostanze perfluoroalchiliche negli alimenti. Nello specifico, richiede a tutti gli Stati Membri di monitorare negli anni 2022, 2023, 2024 e 2025 la presenza di PFAS negli alimenti. Con il Regolamento (UE) 2022/1428, sono stati stabiliti i metodi di campionamento ed analisi, considerato che i PFAS sono particolarmente nocivi anche a basse concentrazioni, e sono necessari metodi analitici molto sensibili e selettivi, in modo da poter garantire la rilevazione di contaminazioni minime. Ce ne parla la D.ssa Daniela Maurizi, in un approfondimento che vi invitiamo a leggere.

In uno dei precedenti approfondimenti in tema di origine degli alimenti, l'avvocato Valeria Pullini, ci ha parlato del regolamento di esecuzione (UE) n. 775/2018, che si applica dal 1° aprile 2020, con il quale la Commissione europea ha previsto le modalità di esecuzione dell’art. 26, paragrafo 3 del regolamento (UE) n. 1169/2011.
L’art. 26, paragrafo 3,  stabilisce che quando il paese di origine o il luogo di provenienza di un alimento è indicato e non è lo stesso di quello del suo ingrediente primario:
a) è indicato anche il paese d’origine o il luogo di provenienza di tale ingrediente primario; oppure
b) il paese d’origine o il luogo di provenienza dell’ingrediente primario è indicato come diverso da quello dell’alimento.

Pertanto, qualora figuri in etichetta, a titolo obbligatorio o volontario, l’indicazione di origine dell’alimento (il che può avvenire non solo a mezzo di parole, ma anche con segni, immagini grafiche, simboli o altro) si innescherà l’obbligo di riportare l’origine del relativo ingrediente primario, se diversa da quella dell’alimento stesso.
In un nuovo approfondimento, l'avvocato Pullini, intende considerare un’ipotesi riguardante una fattispecie parzialmente diversa. Ossia quello di un prodotto alimentare sulla cui confezione sono evidenziati due ingredienti caratterizzanti, uno semplice e l’altro composto, per i quali si intenda riportare, in questo caso a titolo volontario, la relativa indicazione di origine, enfatizzandola sul front-pack a mezzo di apposito claim.

Buona lettura

Please do not reply, per informazioni scrivere a simona.galante@arsedizioni.it

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APPROFONDIMENTI IN PRIMO PIANO:
LinkE se ad essere indicata fosse l’origine di uno o piu’ ingredienti ma non anche quella dell’alimento? Un (complicato) caso pratico. (Avvocato Valeria Pullini)
LinkIl monitoraggio degli PFAS negli alimenti – Criticità e linee guida (Daniela Maurizi)

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L'ESPERTO RISPONDE:
 

DOMANDA:
Se un'azienda di ristorazione mette in atto una procedura di validazione di un proprio processo (e per validazione intendo uno studio atto a dimostrare che le condizioni a cui è sottoposto il prodotto alimentare in questione sono supportate da dati di tipo analitico derivanti da Laboratorio certificato ACCREDIA) è possibile sostenere la tesi che quel processo, oggetto di validazione, sia idoneo sotto il profilo della sicurezza alimentare senza possibilità che venga contestato dagli Organi di Pubblica Vigilanza allorché il processo in questione implichi il raggiungimento di temperature superiori a 10°C per taluni momenti della shelf life del prodotto?.

LinkRisposta (Gruppo Maurizi)
 

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